Numero 4 - Autunno 2009

Ci corre l’obbligo di avvertire i nostri quindici lettori che l’apparentemente innocuo pezzo di carta che stanno maneggiando potrebbe offendere il loro senso del gusto per le belle cose. Questo abbiamo ricavato dalla considerazione critica indirizzataci da qualcuno, distributore del medesimo pezzo di carta, almeno per quanto riguarda le (pretenziose) prime tre uscite, considerazione critica che possiamo riassumere nelle seguenti parole: è soltanto merda.
Ora, che un pezzo di carta sia merda è possibile, e come merda deve puzzare spandendo il proprio contenuto tutto intorno, quanto più a lungo tanto più intensamente.
Non sappiamo se l’esimio estrinsecatore di tanta saliente critica sia un anarchico, di certo è che trattandosi di un frequentatore di sedi anarchiche, e distributore di fogliacci di carta anarchici – o pretesi tali, come per l’appunto il nostro – così dovrebbe essere.
Ma oltre ad avvertire i suddetti nostri quindici lettori suggerendo loro di fare attenzione, ci è sorto un altro dubbio, nel senso cioè del non aver capito noi, non del supporre che tanto acume critico possa appartenere a qualcuno che non ha capito qualcosa. Come mai c’è gente che si sacrifica a tal punto, turandosi il naso, arrivando a distribuire materia puzzolente (richiedendola e pagandola, questo va da sé), quando potrebbe bellamente starsene alla larga respirando aria profumata di gelsomino, gentile fiore di cui sono solite agghindarsi dame di carità e preoccupati soccorritori delle pene altrui? Siamo certi che questa nostra ansiosa domanda rimarrà senza risposta. Il mondo è pieno di masochisti che insistono nel darsi quotidiane martellate sui calli.
Nessuno può sottrarsi al fascino dell’azione, nemmeno i nostri indagatori di merda. Quando per paura qualcuno si chiude e taglia via tutti i mezzi possibili che la vita puntualmente mette a disposizione, allora si rifugia in una rappresentazione fantastica che per complessità e sottigliezza può assurgere al rango della rimescolatura critica. In ogni caso, anche nella eventualità patologica di un’assurdità pura e semplice, c’è sempre una pulsione potenzialmente liberatoria. Solo l’imbecillità è incapace di questo, ma qui il problema ha altre sfumature. Gli accorti compromessi, in cui sono maestri gli annusatori di merda, sono il contrappeso triste e desolante di una vita spesa nel conteggio dei pro e dei contro. In questa contabilità da ebeti non c’è mai un saldo finale.

La critica, come tutti sanno, è tanto più radicale quanto meno entra nella materia del contendere, mantenendosi alla larga da specifici approfondimenti e da fastidiose precisazioni che potrebbero mettere allo scoperto i nervi poveri e tremolanti di ogni cultore di approssimazioni merdaiole. Così facendo può volteggiare lontano dalla realtà, dalla propria realtà che in genere è quasi sempre con i piedi per terra, cioè tristemente e quotidianamente costretta in feroci ambiti quantitativi: un sostegno morale qui, un documento esplicativo là, un pacco dono (attenzione: non un pacco bomba, ma proprio un sacchetto gonfio di caramelle) più avanti, una solidarietà manifestata a forza di comunicati, un’amichevole pacca sulle spalle, un suggerimento correttivo marginale e proprio per questo sempre a portata di mano. Che importa se la solidarietà per il dolore del mondo dovrebbe uscire dei limiti ristretti della fattività, dove spesso si racchiudono tutte le sue manifestazioni visibili, ed entrare nella trasformazione, attaccando le basi che reggono e producono il dolore, o, più genericamente, l’esclusione della differenza e quindi anche la mia esclusione, queste sono chiacchiere generalissime e fanno a pugni con le quotidiane e accumulabili partecipazioni fisicamente numerate e accuratamente codificate nell’ambito del ben fatto e politicamente corretto.
Il resto è merda.

Sommario
- Redazione di “SenzaTitolo”, Editoriale
- AMB, Quando il futuro arriva tra capo e collo
- Non importa chi, Guida per disincentivare il guadagno sui carcerati
- Annotazioni significative
- Max Stirner, La legge è sacra e chi la viola è un delinquente
- Una coda poco pelosa, La coda pelosa del perbenista
- Ricominciamo da quattro, Solidarietà come attestazione in vita
- Alfredo M. Bonanno, L’antimilitarismo in epoca di svilimento
- Annotazioni significative
- Non abbaiare, mordi, Uccidere
- La redazione di “Anarchismo”, Di Bakunin si muore
- Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia

Numero 3 - Primavera 2009

È come se a un film fosse improvvisamente abbassato il sonoro e tutta la pellicola rallentata. Il brusio di fondo, che avvertiamo ritorto nelle orecchie, è una ridondanza della voce del potere che si riorganizza. E che importa ciò se l’iniziativa resta sempre nelle mie mani? Tutto ha un costo, strisce di pelle vanno via, asportate dagli impietosi fendenti della repressione. Più il clima generale si fa miserabile e viscido, più aumentano i vermi terrestri che strisciano nella mota sperando in un riconoscimento sia pure minimo da parte del potere, e più il ruolo di chi non si piega, di chi non accetta, di chi reagisce e attacca, diventa visibile, si staglia nel buio della notte e richiama l’attenzione dei cani rabbiosi che hanno ricevuto da poco, insieme all’osso d’ordinanza, l’ordine di azzannare. Non ci capiscono, non ci ascoltano, vocette impudiche ci soffiano all’orecchio, dicendoci di tenere i piedi per terra, di non sognare fantastiche apocalissi improbabili e fuori del tempo, per carità, lontano da noi questi cacasenno da segreterie comunali. Sappiamo bene che non ci ascoltano e non ci capiscono, e allora?

Sputiamo in faccia al potere la nostra rabbia – e non solo quella – e andiamo avanti, nessuno lavora al posto nostro, nessuno tutela le nostre idee, a nessuno stanno a cuore i nostri sogni, solo a noi, e non vi sembra sufficiente? Avete forse bisogno di un mallevadore che vi alzi il morale, qualche estratto chimico o il succo del nettare degli dèi, avete bisogno di una piccola spinta per alzare lo sguardo al cielo della rivolta? Se ne avete bisogno siete di già fottuti anche se continuate a stringere in mano il manuale del piccolo guerrigliero.

Non vogliamoci bene.

Sommario
- Redazione di "SenzaTitolo", Editoriale
-
Ricominciamo da tre, Facciamo a chi ne ammazza di più?
- Annotazioni significative
-
Friedrich Nietzsche, Il prgiudizio della volontà
-
Alfredo M. Bonanno, La guerra del lavoro
- Annotazioni significative
-
AMB, L'aguzzino buono
-
Non abbaiare, mordi, Polverizzazione
- Meglio tardi che mai, Riconoscimento del nemico
-
Esperto in coprologia, Un buon padre amoroso
-
Annotazioni significative
- Chi non dimentica, L'impudenza del soglio
-
Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Eleusi
-
Un vecchio ateo, Dio non esiste

Numero 2 - Inverno 2008

Nessuno accordo, nessuna concessione nei riguardi di chi ci vuole rinchiudere nelle prigioni di un domani ormai prossimo. Se questo processo dovrà avvenire, grazie principalmente alla miserabile visione di grandi masse di esclusi che non hanno altro da difendere che la propria miseria, non avverrà con la nostra attesa indegna e vergognosa. I giochi dell’impossibile sono tutti nelle nostre mani, siamo noi che possiamo decidere come e dove attaccare, l’odio è una bussola che funziona ancora bene e indica sempre il bersaglio giusto.

Vogliamo che il nostro essere nel mondo, la nostra vita, ora e subito, sia rispettata dagli altri, anche da coloro che si sono arrogati, in base a un gioco di bussolotti, la forza per prendere decisioni al posto nostro. Ma questo riconoscimento non sarà prodotto da un gesto sovrano, da una concessione legale, da una graziosa elargizione dell’unto da Dio, sarà il risultato di uno scontro a vita e a morte. Solo in questo modo avremo consegnato a noi stessi il senso della nostra vita, altrimenti non saremo altro che liberti in attesa di un colpo di frustra o di un cenno di benevolenza.

La ribellione è l’unica strada da percorrere, essa rimane sempre lo scandalo irrisolvibile.

Sommario
- Redazione di "SenzaTitolo", Editoriale
- Non abbaiare, mordi, Di un certo Pinelli
- AMB, Elogio della divisa
- Annotazioni significative
- Pietro Verri, Osservazioni sulla tortura
- Ricominciamo da tre, Un treno alla stazione di Napoli
- Alfredo M. Bonanno, Contro tutti i vedovi inconsolabili
- Annotazioni significative
- Jacques Derrida, Heidegger, nazista fino all'ultimo
- Esperto in coprologia, Morire fra i rifiuti
- Annotazioni significative
- Annalisa Medeot, Sinite parvolus venire ad me
- Annotazioni significative

Numero 1 - Autunno 2008

Sommario
- Redazione di “Senza Titolo”, Editoriale
- Alfredo M. Bonanno, La vita e la morte
- Annotazioni significative
- Charles Baudelaire, La politica e i suoi sposi, anche
- Esperto in teratologia, Psicopatologia di un nano malefico
- Ricominciamo da tre, Il nano e la merce
- Gustave Flaubert, La leggenda di Giuliano
- Ecrasez l’infâme!, L’uomo vestito di bianco
- Annotazioni significative
- Niccolò Machiavelli, Instrumentum regni
- Non abbaiare, mordi, Abiti e idola

Editoriale
Per quanto possiamo immaginarci radicali o estremisti, e in cuor nostro custodire intatti sentimenti di odio e tanta, ma tanta, aggressività, siamo costretti ad ammettere che almeno una cosa ci troviamo a condividere col nemico: il linguaggio.
Mettendo mano a sporcare un foglio di carta ci rendiamo conto che questo condominio è un po’ imbarazzante e merita che se ne discuta. Discutere? Ma come? Discutendo non facciamo ricorso proprio a quella cosa in comune, non facciamo ricorso al linguaggio?
Sembrerebbe una via senza uscite. Ci siamo posti, sprovvedutamente, davanti al rasoio di Hume e al teorema di Gödel. Ostacoli insormontabili. Dall’interno di un problema, esposto secondo alcune regole, non ci possono essere, fra queste regole, strumenti adeguati a risolvere il problema stesso. Se sono su di una nave in alto mare e questa nave ha una falla posso ripararla con i mezzi di bordo? No, non è possibile, la nave è destinata ad affondare. Eppure Carnap, parlando proprio di problemi linguistici, aveva detto il contrario. Errore, Carnap si è sbagliato e tutti i neopositivisti logici che gli sono andati dietro hanno fatto la figura dei cani dietro la salsiccia.
Prendiamo la penna in mano, anzi mettiamo le mani sulla tastiera del computer, e scriviamo. Mentre che scriviamo guardiamo la nostra nave affondare. Non possiamo salvarla con quello che stiamo scrivendo, non possiamo pronunciare la parola adatta a turare la falla attraverso la quale l’intero oceano sta entrando dentro il nostro minuscolo mondo distruggendolo. Costruiamo in questo modo un castello di carte che un improvviso starnuto del nemico manda per aria.
L’idea, dunque, di causalità deve derivare da qualche relazione esistente tra gli oggetti, e questa relazione dobbiamo cercare di scoprire. In primo luogo, trovo che gli oggetti considerati come causa ed effetto sono contigui, e che niente potrebbe agire su altro se tra essi ci fosse il minimo intervallo di tempo o di spazio. Dobbiamo, quindi, considerare il rapporto di contiguità come essenziale a quello di causalità. La seconda relazione che io considero come essenziale a quella di causalità non è universalmente riconosciuta, anzi è controversa, e consiste nella priorità di tempo della causa sull’effetto. Avendo così scoperto, o supposto, che le due relazioni di contiguità e di successione sono essenziali a quella di causalità, mi accorgo che sono costretto a fermarmi e che, quale che sia il caso particolare di causalità, non posso aggiungere altro. Il movimento di un corpo è considerato come la causa, in seguito a un urto, del movimento di un altro corpo. Considerati questi oggetti con la massima attenzione, trovo che l’uno si avvicina all’altro, e che il suo movimento precede quello dell’altro, sebbene senza un sensibile intervallo. È vano torturarsi con ulteriori pensieri e riflessioni, qui è tutto quello che si può osservare in questo caso.
David Hume
Il fatto è che le sottigliezze di Hume e di Gödel, pure essendo fondate, e non acconsentendo ad eccezioni, sono appunto sottigliezze, sarebbero mortali per quello che stiamo dicendo se pretendessimo di proporre un nuovo modello di ordine, diverso certo da quello retto sul medesimo linguaggio che condividiamo con il nemico. Ma non vogliamo entrare in questioni di ordine. Stiamo dicendo per non dire, parlando per non parlare, stiamo suggerendo implicitamente al nostro dire il modo in cui non tenere conto di quello che andiamo dicendo, eccetto una cosa, una cosa non detta, una cosa soltanto intuita da noi e dai nostri pochi lettori, impossibile a catturare da parte del nemico ricorrendo al medesimo strumento (parole, ancora parole) che qui viene impiegato.
Ordine e caos. Questi due termini, nel linguaggio, sono indissolubilmente legati. Caos è contrario di cosmo, quello che c’era prima del cosmo? Non esattamente. Diciamo quello che è non-mondo. E se questo mondo in cui viviamo è così come ce lo andiamo sperimentando ogni giorno di più, preferiamo vivere in un nostro non-mondo, cioè nel nostro caos. È ovvio che non posso pensare di vivere nello sbadigliante caos primigenio, ma posso pensare un non-mondo in cui il caos non sia né regola indiretta né fantasia che serva soltanto per sviluppare una critica di quello che non va nel cosmo ordinato e perfetto dei dominatori e dei servi sciocchi, visto che non possiamo avere un resto positivo nemmeno a cercarlo con la lanterna di Diogene.
Nel mondo che ci ospita non ci sono aspetti positivi, per noi, neanche quegli stretti strumenti linguistici (e tecnici) che in questo momento ci stanno consentendo di scrivere queste righe. Non c’è niente da salvare. Il mondo come organizzazione razionale di rapporti e giudizi non ci riguarda, la critica di questa mostruosità è un prodotto della mostruosità stessa, viene fabbricata in serie, non c’è bisogno che il sudore della nostra fronte innaffi qualche risma di carta per approfondirla.
E poiché, deliberatamente, con la follia che ci ha da tanto tempo contraddistinti, vogliamo dare vita a un non-discorso continuativo, in altri termini a un foglio periodico, spudoratamente estraneo al mezzo stesso che impiega, la parola, è bene intendersi fin da subito. Chi dovesse trovare impossibile (?) questo progetto di dire l’indicibile abbandoni la partita adesso e non si ammali di fegato poi. Chi trovasse difficile comprendere un progetto del genere si metta l’animo in pace, non c’è niente da comprendere, si tratta semplicemente di una follia.
Ebbene, che avete contro la follia? Nostri compagni di strada di lunga percorrenza o nuove accidentali conoscenze da trivio?
Niente per la forma, equivalenze, assunti, dimostrazioni, ipotesi, documentazioni, sillogismi e quant’altro appartiene alla logica dell’a poco a poco che continua a foraggiare allegramente, specialmente per quel che riguarda la parte critica, gli accasermamenti del nemico.
Per alcune decadi invero, gli studi sui fondamenti della matematica sono stati turbati e notevolmente stimolati dalla considerazione di due paradossi, uno proposto da Bertrand Russell nel 1901, e l’altro da Kurt Gödel nel 1931. Come primo passo su questo terreno accidentato consideriamo un altro paradosso, quello del barbiere del villaggio. In un certo villaggio c’è un uomo, così dice il paradosso, che è un barbiere, questo barbiere sbarba tutti, e soltanto, quegli uomini che non si sanno sbarbare da soli. Quesito, il barbiere sbarba se stesso? Ogni uomo in questo villaggio è sbarbato dal barbiere se, e solo se, non si sa sbarbare da solo. In particolare, quindi, il barbiere sbarba se stesso se, e solo se, non sa sbarbarsi. Siamo in difficoltà se affermiamo che il barbiere si sbarba, e altrettanto se affermiamo il contrario.
Willard van Orman Quine
Niente per la sostanza. Quando qui apparirà una indicazione precisa, poniamo un indirizzo, sarà come se ci fosse allegato un sasso, una bottiglia rotta, una misericordia a doppia lama, che dire, qualunque altra cosa, sempre appartenente a quel condominio col nemico, ma non della categoria linguistica.
Con i sassi queste degne persone fabbricano anche le mura del carcere, non possiamo pensare quindi che per stringerne uno in mano (dico un sasso) si stia dalla parte della ragione contro l’occhiuta repressiva visione della vita. Le distinzioni non sono mai chiare. Una bottiglia molotov, di per sé, è solo una bottiglia piena per tre quarti di benzina (o altro liquido infiammabile) con uno straccio imbevuto, ecc., ecc., non fa un rivoluzionario neanche con tutta la buona volontà di questo mondo. Mitizzarla è, ancora una volta, cadere negli equivoci dell’armamento che ci hanno accompagnato per quarant’anni. Basta.
Il fatto è che non vogliamo stare dalla parte della ragione. Il mondo, anche quello che i benpensanti (futuri occhiuti repressori) vogliono oggi rendere pulito e respirabile, libero alfine di inquinamenti e desertificazioni vari, per noi è sempre mondo, non ci piace, non è in nome di questa panacea utopica che siamo disposti a batterci. Il mondo è sempre un prodotto dell’ordine e questi custodi fisiologici della natura sono i futuri coadiutori dei boia di domani.
L’ordine che caratterizza la vita dove vogliono tenerci prigionieri è un fatto religioso, richiede rispetto di leggi, regole e rituali che non vogliamo accettare, che non ci appartengono. Non siamo quindi sostenitori della loro rivoluzione, scientifica o meno che sia, la nostra rivoluzione è il caos. Non vogliamo evolverci verso la pacificazione con lo sbirro e con il compagno burocrate, in attesa del futuro pasto delle belve. Né vogliamo diventare la stampella di tutti i disgraziati di questo mondo, esercito crescente, pulsante come una bestia immane, alle porte del muro di cinta per avere la possibilità di essere ammesso al grande beneficio del carcere, godendo in questo modo, dietro cessione della propria dignità e della propria forza produttiva, di qualche osso buttato qua e là.
Il caos non è disgregazione dell’ordinato, per cui ci troveremo, insieme ai dissidenti di ogni pelo, a non sapere dove abbiamo messo ieri sera i vestiti prima di coricarci. Esso è l’assolutamente altro. Non è disordine, è non-ordine, due concetti differenti che è bene chiarire. L’ordine è unità e uniformità, corrispondenza, classificabilità, chiarezza, razionalità e utilità. Il caos è molteplicità, variabilità, probabilità, incertezza e, in fondo, inutilità.
Mai come oggi abbiamo bisogno di molteplicità di fronte a una organizzazione repressiva che ha mille strumenti d’ordine, non ultimo la coscienza venduta al mercato delle pulci da coloro che l’avevano acquistata con il sangue e con le lotte dei loro compagni del passato. Se anche i lavoratori, ultimo baluardo immaginario, vecchia guardia dura e pura, se ne sono andati di fronte allo stomachevole spettacolo di una politica ormai nuda, e se in questo loro stomacarsi hanno venduto la possibilità di un attacco contro i responsabili dello sfruttamento – politici e sindacalisti compresi –, allora non vogliamo accodarci né agli sparuti gruppi dei resistenti che trattengono per la coda i loro compagni che hanno voltato le spalle agli antichi ideali (ma perché mai non avrebbero dovuto farlo? forse per qualche altra commemorazione di lotta partigiana in più?), né ai custodi del segreto di tutte le rivoluzioni: le masse legittimano e garantiscono, basta trovare i toni giusti, i modelli giusti, le occasioni giuste, e gli uomini giusti, e la rivoluzione è dietro l’angolo. Ecco, non vogliamo questa uniformità foriera di ordine e di garanzia, vogliamo un’altra metodologia, molteplice e varia, libera ed esplosiva nella scelta dei suoi metodi e anche nella capacità critica di mettere sotto luce analitica nuova vecchi progetti e vecchi modelli d’intervento rivoluzionario. Molteplicità è anche libertà di cercare i nostri compagni, ancora una volta, testardamente, cercarli in modo libero, non partendo dai comuni moduli d’intenzione sfilacciati dal tempo e dalle malcomprensioni, cercarli per fare insieme quello che possiamo anche fare da soli ma che insieme pensiamo possa essere molteplicemente più efficace. Ecco quello che vogliamo fare.

Redazione di “SenzaTitolo”
Se si tratta d’intendersi e di comunicare con gli altri, io posso ovviamente far uso solo dei mezzi umani, di cui dispongo perché io sono anche uomo, oltre ad essere me stesso. E in realtà solo in quanto uomo ho dei pensieri, in quanto io, invece, sono al tempo stesso privo di pensieri, spensierato. Chi non sa sbarazzarsi di un pensiero è, in questo, solo uomo, è schiavo del linguaggio, di questa istituzione umana, di questo tesoro di idee umane. Il linguaggio o “la parola” ci tiranneggiano nel modo più brutale perché sollevano contro di noi un intero esercito di idee fisse. Osserva per una volta te stesso mentre pensi e ti accorgerai che puoi procedere nei tuoi pensieri solo perché resti ad ogni istante senza pensieri e senza parole. Non solo, per esempio, nel sonno, ma persino nella più profonda concentrazione del pensiero, tu sei senza pensiero e senza parole, anzi: sei così soprattutto allora. E solo grazie a quest’assenza di pensieri, a questa misconosciuta “libertà di pensiero”, ossia libertà dal pensiero, tu appartieni a te stesso. Solo partendo da essa arrivi a usare il linguaggio come proprietà tua. Se il pensiero non è il mio pensiero, esso è soltanto lo svolgimento di un’idea già pensata, è lavoro da schiavi o lavoro da “servi della parola”. L’inizio del mio pensiero, infatti, non è un pensiero, ma sono io stesso, e perciò io sono anche la meta, così come tutto il suo sviluppo non è che uno sviluppo del mio godimento di me stesso; per il pensiero libero o assoluto, invece, l’inizio è il pensiero stesso ed esso si tormenta cercando, per cominciare, l’ “astrazione” più alta (per esempio l’essere). Appunto questa astrazione o quest’idea viene poi svolta e articolata.
Max Stirner